Michael Rotondi | Oggetti preziosi

di Arianna Beretta

La memoria. Sacca piena di cianfrusaglie che rotolano fuori per caso e finiscono col meravigliarti, come se non fossi stato tu a raccoglierle, a trasformarle in oggetti preziosi.
Wu Ming

2005 – 2015, a Palazzo Coluccia a Specchia, nel Salento, Michael Rotondi festeggia i suoi primi dieci anni di attività. E lo fa proprio in Puglia, luogo denso di senso per lui, che nasce a Bari nel 1977. Una terra che ha lasciato da bambino, ma a cui è legato per ragioni affettive. La sua storia personale e familiare è qui.

Ed è proprio sul filo della memoria che si muove, non solo Artworks, la mostra qui presentata, ma il lavoro stesso di Rotondi. Carte, tele e lenzuola dispiegano un universo intimo, legato a episodi vissuti personalmente, accanto a brani di memoria collettiva.
Certamente si sente un forte trasporto dell’artista nel voler fermare momenti, attimi, sentimenti, musica. Rotondi lo fa con passione, accostando – a volte in modo apparentemente disordinato – volti, paesaggi, oggetti, riferimenti alla cultura popolare e musicale punk e rock. Questo apparente caos, altro non è che una giustapposizione dei continui stimoli che arrivano dall’esterno, dello stratificarsi di esperienze vissute, ricordi, pensieri, influenze esterne, film, musica, arte e tanto altro ancora.
Accumulazione, come naturalmente avviene nella vita di ciascuno di noi. Memoria e ricordi come un immenso magazzino dove conservare le cose, siano esse sentimenti, persone lasciate durante il percorso, oggetti una volta cari e carichi di significato. Ognuno di noi ha il suo personale deposito della memoria. Rotondi lo rende esplicito e lo condivide alla ricerca di un punto in comune. Di una memoria che possa essere collettiva.

Anche la sua cifra stilistica contribuisce a questo processo: gestuale, forte, immediata e potente. Segni, tratti, linee, pennellate altro non fanno che seguire e raccontare il sovrapporsi di voci, di immagini, di suoni, di colori. Come pure i supporti, sempre diversi tra loro, carta, tela, lenzuola, legno. Perché la vita è così, è un insieme – per la maggior parte delle volte inatteso – di accadimenti non controllabili né controllati.
Ecco allora che Rotondi mette in scena tutto questo. E lo fa con un risultato che è immediatamente comprensibile – e condivisibile – perché segue il ritmo naturale del vivere quotidiano.

Per questo motivo non si può rimanere indifferenti davanti alle opere di Rotondi: in qualche modo ci chiamano, ci “tirano dentro”, ci rimandano a qualcosa che avevamo dimenticato. Personalmente sono – da sempre – attratta dai suoi paesaggi, soprattutto quelli più scarni e silenti, eseguiti con un semplice pennarello nero, perché, pur non avendo mai vissuto quei luoghi, che sono invece di Michael, mi ricordano pezzi della mia vita. E uso non a caso il termine pezzi, perché insieme alla visualizzazione di alcuni paesaggi del mio passato, mi tornano alla mente suoni e musica, la mia musica.
Ecco allora che il viaggio di crescita personale e artistica che porta con sé le tracce del vissuto di Michael Rotondi, diventa anche il mio. Ecco allora che la memoria diventa collettiva.

Rotondi non si dedica certamente solo al paesaggio. I lavori presentati per Artworks rielaborano alcuni grandi temi dell’arte: la natura morta, il ritratto e l’amore. Ma l’artista li tratta sempre assecondando la sua indole, con passione ed entusiasmo, senza lasciarsi trascinare dalla retorica. Anzi in alcuni casi essendo molto sincero, al limite dell’ingenuità.

Questo elemento rende le opere di Rotondi subito comunicative e coinvolgenti.
Il motivo è – apparentemente -semplice. Durante una nostra chiacchierata, ho chiesto a Michael perché pratica la pittura, “non potrei farei altro” è stata la sua risposta. Dunque la questione non è affatto semplice.
Riuscire ad essere immediatamente comunicativi non è facile, ma Rotondi ci riesce. Perché? Perché utilizza tutto quello che ogni giorno ci capita per le mani – carta, stoffa, tela -, perché ascolta e racconta la nostra musica, perché viaggia e descrive i nostri luoghi, perché ci parla d’amore, del nostro stesso amore.
Perché ci riconosciamo nel suo racconto.