Michael Rotondi | Il rumore della pioggia

di Arianna Beretta

Here comes the rain again
Raining in my head like a tragedy
Tearing me apart like a new emotion
(Here Comes the Rain Again, Eurythmics)

Quando Michael, a fine settembre del 2017, mi disse di volere fare una mostra sull’alluvione che c’era appena stata a Livorno, dissi subito sì. Senza pensarci. Capii che per lui era una urgenza, dettata non solo dall’amore verso la città nella quale è cresciuto, ma dal fatto che aveva vissuto in prima persona quella tragedia che aveva colpito così duramente Livorno. “Ero lì per festeggiare il mio compleanno. Ma non ci fu nessuna festa. Quella notte capimmo che stava per accadere qualcosa di terribile quando le nostre biciclette iniziano a galleggiare sull’acqua. Per fortuna la casa dei miei non venne toccata, ma io, i miei familiari e i miei amici ci organizzammo subito per partecipare attivamente ai primi soccorsi.”

Senza nessun conto, nessuna strategia, entrambi sapevamo che fare un lavoro su quello che era successo era giusto. Per lui per testimoniare qualcosa che nemmeno sapeva spiegare a se stesso, per me per raccontare attraverso Circoloquadro, come l’arte sa fare in modo immediato e – in questo caso – anche emotivo quello che accade oggi. Essere presenti e consapevoli, a questo dovrebbe servire l’arte.

Michael Rotondi sostiene che Mota, non è una mostra ma una installazione. E, in effetti, in uno spazio piccolo come quello di Circoloquadro questa parola assume senso e importanza. In soli 30 metri quadri Rotondi riversa la sua mota, il fango che nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2017 coprì gran parte di Livorno. È come se l’artista, riempiendo lo spazio di Circoloquadro fino ad occupare tutto, perfino la vetrina, volesse ricreare quel senso di soffocamento, di disordine e di caos in cui si ritrovò la città toscana solo un anno fa.

L’accumulazione è, da sempre, un processo creativo e un metodo installativo tipico di Rotondi che produce con velocità di esecuzione grandi carte e tele che ama poi installare spesso giustapponendole, quasi a ritmo di musica, a creare grandi opere d’arte. Ma qui a Circoloquadro il metodo e il processo diventano l’opera stessa, perché questo è Mota: una installazione totale che ricrea un momento, un clima, il sentimento di una intera città.

Nello spazio di Circoloquadro vengono trascinati momenti e oggetti, letteralmente. Il grande murale, che riempie una parete di 3 metri per 5, prende le mosse da una foto, anch’essa in mostra in originale, di Daniele Stefanini che realizzò un reportage fotografico della catastrofe. L’immagine mostra un enorme – quasi inverosimile – ammasso di sedie, mobili, porte e oggetti d’uso quotidiano, accumulati tutti insieme su uno sfondo che fa pensare alla fine del mondo e che a me ricorda lo sfondo del Il trittico della guerra di Otto Dix per la desolazione che emana da quel paesaggio grigio e freddo. È una testimonianza unica di quello che l’alluvione ha distrutto e portato via con sé: brani di vita, lacerti di giornate passate in famiglia, ricordi. Davvero la fine del mondo per molte persone. E questa immagine viene scelta da Rotondi per “investire” una intera parete tanto da diventare il simbolo della tragedia.

Ma l’intervento di Rotondi non si limita solo al grande murale. Con carte di grande e media dimensione va a coprire le pareti rimanenti nello sforzo di riempire lo spazio con la mota di quella notte. Sulla carta paglia, che a Livorno viene utilizzata al mercato o come tovaglia e che Rotondi utilizza da sempre, l’artista ricorda alcuni momenti in cui le automobili venivano trascinate via o interi appartamenti venivano rivoltati sottosopra dalla violenza di quell’ondata di pioggia e fango. Anche in questo caso, come il suo processo e il suo metodo, anche il supporto assume qui una forza ulteriore: è testimonianza della città, fa parte della vita quotidiana, la “carta gialla”, che si usa ogni giorno, diventa a suo modo un simbolo di quel territorio e della sua gente e assume la dignità e l’importanza della tela o della carta di qualità.

Ma a Rotondi questa volta non bastano le immagini, seppur vivide e drammatiche. Di quella notte manca ancora qualcosa. Lo spazio non è invaso del tutto. Manca il rumore. Il rumore incessante della pioggia che quella notte non smette di cadere. Mi racconta Michael che, tra le tante cose che i livornesi sono stati costretti a vedere e a sentire, certamente il rumore della pioggia è stato quello che più si è impresso nella loro memoria perché “non sembrava finire mai.” E allora Rotondi realizza un video che riprende alcune immagini, colte in modo amatoriale da lui e dai suoi concittadini e che rielabora in alcune parti intervenendo con una sua animazione, ma che – soprattutto – ha come colonna sonora la pioggia di quella notte. Incessante, accompagna i visitatori di Mota per tutto il tempo della loro permanenza nello spazio di Circoloquadro senza dare loro tregua, come per i cittadini di Livorno.

Il lavoro di Michael Rotondi trova una sua completezza con questa installazione. Accumulazione, materiali, video e suono non sono più soltanto dei pretesti e strumenti con cui installare o disegnare e dipingere o fare musica, ma diventano essi stessi opera d’arte. Un’unica grande e coinvolgente opera d’arte.

 ***

Mostre correlate

  • Michael Rotondi | Mota
    Michael Rotondi | Mota