P2P / #2 Deep

di Arianna Beretta

Con P2P, Proud to present, si mescolano le carte e si ribaltano le dinamiche che regolano l’ideazione di una mostra. Dato un tema, l’oscurità, l’abisso, quella zona grigia, reale o psicologica, ho chiesto a quattro artisti – Silvia Argiolas, Maurizio L’Altrella, Quadreria Romantico Seriale e Fabrizio Segaricci -, di riflettere sull’argomento e di scegliere e presentare due artisti a testa. Una collettiva dalle caratteristiche insolite dunque, che vede quattro artisti nelle vesti di curatori e mentori di altri artisti e colleghi. Il momento di discussione e confronto che nasce intorno al progetto ha dato finora dei risultati assai interessanti e si è rivelato coinvolgente per gli artisti stessi che hanno sperimentato una modalità diversa di lettura e di selezione delle opere altrui, permettendo uno scambio di informazioni e una discussione intorno all’arte oggi assai rara.
Ovviamente P2P riporta alla mente lo schema della rete utilizzata per il file sharing, per la condivisione dei file e delle informazioni. P2P, Proud to present, gioca sulla ambivalenza dell’acronimo per lavorare sulla condivisione e la “messa in rete” degli artisti e delle loro opere in una logica di relazione e valorizzazione dei nodi della stessa.

Deep

Deep into that darkness peering, long I stood there, wondering, fearing,
doubting, dreaming dreams no mortal ever dared to dream before.
Edgar Allan Poe, The Raven, 1844

La profondità, l’abisso, l’oscurità, la zona grigia, è il tema intorno a cui ruotano i lavori degli artisti chiamati per questa collettiva. Un tema che si presta a numerose interpretazioni e che segue la sensibilità, la storia personale, la ricerca artistica e umana di ognuno degli artisti invitati. Un tema pericoloso, anche. Perché troppo facilmente si può cadere nella banalità di uno sfondo nero o nell’uso di una gamma di colori bassa e cupa. Gli artisti che ho invitato per questo P2P#02 non sono caduti nell’errore e hanno invece realizzato dei lavori in linea con il tema, senza mai tradire la propria ricerca artistica e il proprio stile. Non perdono la verità e la sincerità del loro fare arte.
Quando ho chiesto a Silvia Argiolas, Maurizio L’Altrella, Quadreria Romantico Seriale e Fabrizio Segaricci di pensare a un lavoro sul tema della profondità avevo in mente qualcosa che andasse a scandagliare la zona oscura che c’è in ognuno di noi e pensavo a tutti i nostri demoni interiori, quelli che non ci lasciano in pace e che ci accompagnano quotidianamente. Le loro risposte mi hanno stupito. Ognuno di loro ha affrontato il tema in modo strettamente personale andando a indagare e a toccare temi che non avevo ipotizzato ma che colpiscono per la forza e la qualità dei lavori.

Silvia Argiolas, nella sua tavola L’amore dentro l’occhio, affronta il tema dell’amore, della passione che porta alla distruzione, meglio, alla consunzione di chi lo vive in modo profondo. È un abisso in cui sprofondano gli amanti che arrivano ad un grado di passione tale da leccarsi gli occhi e piangere e nel frattempo provare un piacere che si mescola ad un dolore vistoso, come quelle lacrime che escono dal pene del cane. Il binomio amore/morte qui rivive in una dinamica che esclude però un rapporto di prevaricazione. Non esiste il male e non esiste il bene, come dice Silvia stessa: “Il cane non è un elemento negativo: rappresenta un’anima che può avere le sembianze di qualcosa di negativo, ma in realtà non ci sono ruoli ben definiti. C’è la passione.” Quella stessa passione che ti getta in un abisso, ma che ti permette di trasformare queste esperienze dolorose in momenti di crescita e di maturazione personale. L’amore portato all’estremo grida che davanti all’abisso c’è una speranza per ognuno di noi, per trasformare continuamente la nostra esistenza.

Attratta dai suoi colori, dal suo gesto e dai suoi temi, ho chiesto a Maurizio L’Altrella di partecipare a P2P e Mutation, la sua tela, mostra un’altra declinazione del tema. Qui un animale si aggira in uno spazio senza tempo e senza luogo, si muove e muta nella sua fisicità, mettendoci di fronte alla domanda sulla sua identità. Cosa stiamo ammirando? Un animale o la rappresentazione di qualcos’altro? Gli animali di L’Altrella sono per me creature misteriose, semi divine. Non portano con sé un dramma, visibile almeno, ma sembrano voler dire qualcosa, mandare un messaggio. Si muovono, come in questo caso, furtivi e silenziosi fra ombre e lampi di luce, in una zona sospesa che dà la sensazione di attirare dentro lo spazio chi guarda con attenzione e mente aperta. Mutation sembra suggerire la naturale condizione umana poiché anche noi ci aggiriamo ogni giorno fra luce e ombra. Ma se per noi la lotta è quotidiana e il senso di incertezza ci toglie il respiro, per gli animali di L’Altrella questo non accade. Si muovono sicuri in un mondo che sembra sospeso in un’altra dimensione e che ci attira inequivocabilmente.

Con il lavoro di Quadreria Romantico Seriale, Pastorale, è palpabile l’ingresso in un mondo criptico e simbolico. In primo piano un capro e un uomo dal volto coperto. Chi sono? Cosa sono? Il mistero e quel senso di inadeguatezza che ci coglie di fronte alle opere di QRS sono dovuti alla volontà dell’autore che sceglie di abbandonare il suo nome per assumere quello di un “marchio”; allo stesso modo i suoi soggetti non sono individuabili proprio perché a QRS interessa “il non-umano, il non-individuale e ciò che è pre-culturale”. Davanti alle sue tavole potenti e ipnotiche è impossibile non avvertire una vertigine che sprofonda l’osservatore in una realtà lontana. Lo sguardo che ci rivolge l’uomo mascherato è impenetrabile, non ha domande e nemmeno risposte. I simboli che abitano questo universo silenzioso esercitano una fascinazione e un incanto da cui è difficile sottrarsi e che riportano a luoghi, culture e dimensioni altre. L’uso del colore contribuisce a questa sensazione e l’atmosfera è, paradossalmente, considerata la tavolozza bassa, netta e limpida. Straniante dunque il lavoro qui presentato che si muove su un doppio registro, quello cupo e quello luminoso, e che obbliga a fermarsi per pensare e riflettere, senza fretta e senza pregiudizi.

Con il lavoro di Fabrizio Segaricci, La fabbrica non parla, siamo davanti a un’ulteriore declinazione del tema. Qui l’abisso, la zona oscura, fa i conti con il presente e con l’Italia di oggi. La serie di Segaricci mostra delle fabbriche abbandonate nella zona intorno al Lago Trasimeno. Luoghi una volta vivi, produttivi e oggi in totale abbandono, in mezzo ad una natura che finalmente riesce a riprendere il sopravvento e che sembra avere la meglio sull’uomo. Le sue fotografie, su pellicola, mostrano con un bianco e nero diretto e comunicativo il momento della caduta, della perdita. Il punto di vista di Segaricci, pur testimoniando una realtà che lui ama profondamente, è lucido: senza abbellimenti, in presa diretta, mostra la caducità e la desolazione della nostra società e della nostra incapacità di far fronte a questa caduta di valori. È davvero una zona grigia, la sua, specchio anche di una realtà di provincia lontana dalla velocità e dal rumore assordante delle grandi città e proprio per questo disperatamente isolata. Non può però passare inosservato a chi lo osservi con attenzione lo sguardo d’amore e di nostalgia con cui Segaricci guarda e testimonia la sua terra, ma che rimane fermo e tenace della denuncia di una condizione sociale e umana.

La parola a Silvia Argiolas, Maurizio L’Altrella, Quadreria Romantico Seriale e Fabrizio Segaricci, che presentano il lavoro degli artisti da loro scelti: Antonello Sedda, Adriano Annino, Narcisa Monni, Francesco Cuna, Riccardo Cavallini, Svart1, Lucilla Candeloro, Quartierino Blatta.

Pistole/sesso/Carrelli

di Silvia Argiolas

L’aria è piena di grida. Sono attaccate ai muri, basta sfregare leggermente. Dai mattoni salgono respiri, brandelli di parole. Ferri di cavalli morti circondano immagini di battaglie. Le trattengono prima che vadano in un futuro senza cornici.
A. Anedda

Ho scelto di presentare due artisti molto differenti, entrambi legati ad un’oscurità interiore, che non fingono vita e lavoro, Antonello Sedda con uno sguardo esteriore, Adriano Annino esattamente l’opposto, interiore, mentalmente legati al mio lavoro e alla mia persona, due artisti fuori dalle mode, fuori dagli schemi ma con uno sguardo internazionale, una specie di allungamento della mia parte maschile, un fotografo duro e puro e un pittore vero viscerale.

Antonello Sedda è un artista che affronta la fotografia in modo molto personale, senza abbellire, senza strategie per farsi amare; un lavoro duro che non parla mai di se stesso, che però osserva con uno sguardo unico il mondo senza morbosità. In passato ha ritratto le solitudini giovanili durante i concerti musicali, che ricordano un po’ il mondo di Larry Clark e Gus Van Sant, descrivendole attraverso l’abbigliamento, gli sguardi e i movimenti; ha realizzato poi una serie di scatti nelle miniere, segno del forte attaccamento alla Sardegna, nei quali si può intuire quel sentimento naturale di amore/odio per la propria terra, con un occhio internazionale. Le immagini scelte per la mostra sono armi, in una sorta di rappresentazione fallica, foto che riflettono la persona, asciutta, dura, semplice ma allo stesso tempo sensibile; mi ha colpito la sua visione dell’umanità, la fierezza di uomini che si sentono veri con un’arma in mano, ma che alludono a qualcosa che potrebbe capitare, uomini semplici con cazzi-fucili.

Adriano Annino è un artista in continua evoluzione. Mi ha colpito il suo rapporto con le cose e le persone, l’uso quasi impeccabile dei colori e il loro significato emotivo. I carrelli, quelli del supermarket, spesso presenti nei suoi dipinti, sono rappresentati come anime, forme di vita abbandonata e dimenticata, in una dimensione senza tempo. Facendo una piccola analisi, nella sua personale visione, lui stesso mi appare come un carrello, un’anima: un intricato e caotico autoritratto saldato con tubi metallici. Un lavoro legato alla solitudine, un nonluogo che evolve e prende vita in un centro commerciale verde (affollato, ma in definitiva verde) pronto ad essere osservato davanti ai suoi occhi che non guardano per la prima volta, ma per la prima volta si fermano, in modo quasi maniacale, a trovare “con violenza” l’anima che altrimenti non avrebbe senso di esistere. I lavori che ho scelto fanno parte della sua ultima produzione. Sotto il viso idealizzato, di questi che risultano come tre autoritratti, si intuiscono probabili situazioni private di vita, forza e debolezza. Ho scelto quindi un artista con uno sguardo ampio e vitale, dove poter leggere profondità e spiritualità filosofica.

Perché Narcisa e Francesco?

di Maurizio L’altrella

Non sono un critico d’arte, né un curatore, quindi mi esprimerò come può farlo un pittore, un amico (se è possibile), un compagno di viaggio.
Mi interessano e mi provocano emozioni i due atteggiamenti, distinti, che loro, artisti, pittrice e pittore, adottano nel momento in cui intervengono sul proprio lavoro. Sento i loro sentimenti. Li sento toccarmi nel profondo. Sono vicini, lo siamo sempre in qualche modo.

Narcisa: istintiva, diretta, forte del gesto e del colore, urla la sua poetica d’amore senza pudori… Se ne frega. Ha la necessità di esprimersi? Lo fa. Se non ha nulla da dire, tace. La sua impronta è quella del predatore. Al posto di pennelli e colori, se potesse, userebbe un mitragliatore? Non lo so.
C’è molto. Quasi tutto. Tutto, non è ancora possibile. Quando si renderà conto d’essere una divinità allora potrà.

L’urgenza è la forza scatenante, la percezione emotiva, che dà modo a Francesco di agire attraverso la sua pittura.
La perspicacia lo porta a ritrovare, lungo il cammino elaborativo dell’opera, quel silenzio necessario per riconoscersi. L’attesa. La sospensione. La stratificazione del tempo e del ricordo. Il peso delle vite passate.
Togliersi di dosso nomi e cognomi sarebbe davvero necessario. La vita? È sempre qualcosa di diverso dal solito.

La Via dell’ultimo Yuga

di Quadreria Romantico Seriale

La materia che appare è luce caduta: il cadavere della luce.
Massimo Scaligero, La Luce. Introduzione all’immaginazione creatrice, 1964.

Abbiamo tenuto fermo questo principio ordinatore: un’espressione artistica deve essere strumento e viatico di un’idea, ossia di un vedere superiore all’opera stessa. Dunque è di idee, o meglio, di “visioni”, che qui si vuole trattare: di sguardi che sottendono una concezione del mondo, non di opere “ben riuscite” secondo meri criteri esecutivi e un vacuo gusto mondano. Le opere “in sé e di per sé”, invischiate nel loro “materialismo”, non ci interessano. Anzi, ci ammorbano per il loro consueto vizio di voler essere permeate di quella cultura atrofizzante ed informe che, anche quando di “contrapposizione”, attua la colonizzazione degli intelletti con democratico bon ton. Se un’opera ha una sua recondita necessità, essa risponde solo al Sangue, che è Spirito. La Forma è limite, demarcazione; l’estetica è etica che supera ogni realizzazione, pur determinandola. Qui sta lo stile che noi privilegiamo: lo stile come confine sanguigneo, come distinzione di caratteri. Ovvero stile che sceglie di essere, nonostante tutto, e anche su posizioni perdute, un’affermazione oltre-umana di fronte al Nulla. Su tale paradigma, pur preservando le loro spiccate differenze poetiche, intervengono gli autori qui presentati.

La pittura di Riccardo Cavallini si afferma attraverso un linguaggio di lontananza e alterità, posto al di là delle consunzioni organiche ed umane. Luoghi di un sentire terminale, ascrivibili al principio del “nulla di troppo”, le opere di Cavallini delineano un universo pittorico che mira ad una chiarificazione ultimativa dell’esistenza, dove le qualità più elementari delle cose si rivelano nude, compatte, e al tempo stesso sfuggenti. Rivelare le tenebre con il vestito della luce è dunque una delle insidie che caratterizzano la poetica di Cavallini. I suoi dipinti sono un limine, lo spazio di un’azione interiore in cui gli scenari, trasfigurazione di volti celati, divengono lingua cifrata dell’esistenza.

Lo sguardo di Svart1, progetto attivo nell’ambito delle installazioni video-sonore su tematiche esoteriche e geopolitiche, ci conduce con i suoi fotogrammi in un reliquiario di feticci rituali. Una sacralità anorganica, impersonale, tuttavia palpitante. Tra calchi deposti e simulacri intaccati, prende forma una mistica impura, incastonata nella materia, dove lo spirito precipita sulle cose. È opera al nero, trascendente e dissoluta, eppure algida, distaccata. Anche con Svart1 incontriamo delle insidie: sabotaggi iconici, dirottamenti di senso che attingono ad arcaiche tradizioni cultuali. Per essere lasciati con i resti di un’Europa senza sacro, devota al suo baratro.

Sfumiamo con un monito, che le opere qui proposte consegnano a coloro che le sanno scrutare: nel punto in cui ci illudiamo di scorgere la Via, ci si allontana da essa.

Il teatro delle nuove possibilità

di Fabrizio Segaricci

Dai primi sopralluoghi dei paesaggi che la circondano Lucilla Candeloro dà vita a una serie di lavori che gravitano intorno al tema degli “alberi bruciati”. Partendo dalla fotografia per sviluppare poi il suo lavoro a carboncino, le sue opere diventano visioni in bianco e nero di tronchi riarsi e paesaggi desolati. La cura meticolosa dei dettagli pare divenire un tentativo di identificazione tra l’artista e i paesaggi frequentati, l’ultima possibilità disperata di raccontarci eventi catastrofici che segnano la ne di un luogo o di ogni luogo. Davanti a un suo disegno mi pare di essere chiamato ad una scelta, o addentrarmi in un percorso incerto o attendere immobile che la foschia passi e lasci il campo alla rinascita dei primi germogli.

Le varie fasi di lavorazione del duo quartierino Blatta cominciano con schizzi preparatori per divenire scenografia, performance e concludersi in camera oscura.
Il corpo e il luogo sono gli elementi portanti del progetto, entrambi abbandonati, mutilati, isolati. Tra materiali recuperati in mercatini d’antiquariato, tendaggi e oggetti appositamente costruiti, i personaggi delle loro foto ci parlano di ansie mai sopite, di corpi trasformati tanto nello spirito quanto nelle membra. Guardando il loro lavoro mi viene in mente che non c’è rifugio o possibilità di fuga dall’isolamento, da quel senso d‘inadeguatezza che pervade in certi momenti ognuno di noi.

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