di Francesca Pergreffi
“In questo momento sento che il tema della natura è più forte di me, è come un prurito interiore che non mi dà pace, da cui non riesco a scappare. La natura è l’unica idea assoluta, l’unica idea che resta per sempre, un punto fermo. E sento che in qualche modo dando forma e colore a quest’idea, la natura, riesco ad avvicinarmi a me stessa, riesco a conoscermi meglio…”. Agnese, a partire da queste tue parole, vorrei capire il rapporto simbiotico e conflittuale, che hai con la Natura. Come avviene la scoperta di te, la tua conoscenza, e il tuo ri-trovarti attraverso la creazione formale della natura?
Con quelle parole intendevo semplicemente che dipingendo la natura, in qualche modo, ricavo le sensazioni di un ritorno o riesco a ricongiungermi a quei luoghi che in passato per un motivo o per l’altro mi hanno toccato dentro. Che mi hanno dato qualche emozione forte o fatto provare sensazioni prima sconosciute. È come se con la pittura potessi compiere un viaggio in quei posti che sono i posti della mia terra e quindi della mia identità. È così che riesco a ricordare che è grazie a quei luoghi che io sono quello che sono.
Il tuo processo creativo viene definito da te meditativo: “… le immagini nascono intuitivamente, la mano segue il lavoro dell’intuizione. La mia sensazione è che quando lavoro la mente non partecipa nel processo. La mano supera la velocità della mente. La mano corre e la mente cerca di catturarla, ma non ci riesce. E io lascio correre la mano”. Vi è comunque una sincronia tra la tua mente e la tua mano o solo un rincorrersi? Quand’è che la mano si rassegna alla mente… se si può parlare di rassegnazione…
Il lavoro su questi paesaggi l’ho percepito tanto come meditativo. Probabilmente perché è una realtà che conosco così tanto che riesco a non pensare alle linee e alle forme. E lo stesso accade con la scelta dei colori, che in realtà non è una scelta, li accosto come sento, senza pensarci. Forse perché so che con la natura non puoi sbagliare perché là esistono tutti i colori e tutte le forme.
Penso che c’è sempre sincronia tra mente e mano, quello non puoi evitarlo. Quando la mano si ferma, la mente si accende e comincia ad analizzare la composizione, i colori, etc. Ma quello che volevo dire è che dipingendo questa serie di quadri ho percepito qualcosa che mai avevo sentito prima. Per spiegarti meglio forse può essere utile descrivere il mio modo di lavorare. Io lavoro-dipingo a terra, mi metto a terra e così passo il mio tempo di dipingere. Avverto la sensazione di entrare nell’area del quadro che sto lavorando, su cui sto applicando i livelli di colore. Il processo in teoria può sembrare un po’ cieco, però mi dà davvero la forte impressione di allontanarmi da tutte le mie conoscenze. Stando seduta a terra, la superficie del quadro è davvero molto vicina a me, quindi non riesco a vedere bene l’aspetto della composizione, le linee e le forme. Ci vuole una certa distanza. Quando mi alzo, comincio ad analizzare quello che ho fatto, poi mi risiedo e continuo. Il lavoro della mente, comunque, continua anche quando esco dallo studio, in qualche modo lo porto sempre con me.
Guardando i tuoi lavori, percepisco sempre e comunque un equilibrio perfetto, un’armonia totale. Nulla è lasciato al caso, ogni cosa è perfettamente orchestrata.
Dopo aver letto le riflessioni che fai sul tuo processo creativo intuitivo e guardando i tuoi lavori, in un primo momento mi è sembrato di cogliere il paradosso: di una visione finale degli elementi accordata e ponderata ottenuta mediante il flusso intuitivo. Poi guardando e riflettendo ulteriormente ho capito che forse il paradosso non esiste, perché la consonanza nelle opere si ottiene proprio dalla libera accoglienza delle proprie pulsazioni interiori: “il mio processo di pittura è anche meditativo, somiglia al mandala buddista, dove le forme, le variazioni del colore sgorgano da motivazioni interiori. Il processo nasce dall’urgenza di dare espressione e forma a qualcosa di nuovo, unico.” , bisogna quindi dare ascolto e libertà a queste urgenze?
Se è cosi, come avviene il controllo dell’opera, quando ottieni la visione finale? Dal momento che tu sei propensa ad accogliere e a valorizzare la casualità e l’imprevisto nel fare, e ami “quando il quadro si fa da solo”, non ti è più difficile, stabilire la fine del processo creativo di un’opera?
Le casualità per me sono uno strumento di lavoro. Cerco di lasciarle accadere, non mi oppongo. Casualità che spesso sono semplici gocce di colore che cadono sulla superficie, un colore che asciugandosi cambia il suo tono (che è una caratteristica dell’acrilico). Le casualità spesso mi guidano, mi danno idee. In qualche modo mi aiutano a creare l’immagine. Per esempio fisso l’orizzonte sulla linea delle gocce di colore. Dall’area di colore applicato liquido e poi ascugatosi irregolarmente creo un lago.
Io sono abituata a lavorare su molti quadri contemporaneamente, il lavoro va a cicli. Lavoro su alcuni quadri, non guardando altri, poi ritorno a quegli altri e dimentico i precedenti. Per capire se un quadro è finito mi aiuta una pausa, cerco di non guardarlo, di dimenticarlo per un po’. Però iniziare un quadro nuovo è sempre più facile per me, più interessante perché è una cosa fresca, una storia nuova. Il quadro nuovo spesso porta una idea nuova ed è un generatore di altre nuove idee.
Agnese il tuo lavoro è estremamente autobiografico, si scorgono frammenti di paesaggi esistenti ai quali tu hai ridato vita; luoghi possibili nell’ ora in cui “i pensieri smettono di volare. E scendono.”. Si può parlare di astrattismo concreto?
Si, nei miei quadri metto insieme pezzi esistenti creando qualcosa di non esistente, o forse esistente.
Amo gli spazi della natura dove ancora si sente la superiorità della natura sopra uomo. Quei posti mi danno la sensazione di essere in un tempio. Sono posti magici, l’area sembra pulsare, tutto intorno è vivo, si muove. Il silenzio di tutto ciò, che non è per niente tranquillo, non è per niente silenzioso. Voglio portare nel miei quadri un po’ di questa magia. Io amo le ore prima del sorgere del sole e quelle del primo buio.
Senza entrare nel merito di cosa s’ intende per opera d’arte, poiché entrano in campo molte variabili, tra cui la cultura e il gusto, ma parlando più in generale, per te che funzione ha l’opera d’arte oggi?
Te lo chiedo perché in questo periodo é un interrogativo sul quale sto riflettendo: è un mio pensiero costante.
La mia aspettativa è quella di trovare nell’opera d’arte: una connessione tra l’opera e l’artista, tra l’opera e chi la guarda, tra l’opera e il mondo. E una volontà comunicativa.
Inoltre, a mio avviso, l’opera deve essere portatrice di un pensiero. Deve rifuggire dal mero esercizio di stile, noioso e auto- celebrativo che sfocia spesso nel manufatto artigianale e nella decorazione nonché dalla sterile esigenza del mercato. Altrimenti non capisco il suo senso nel mondo. Tu come la pensi?
Certo che un’opera deve portare un messaggio, in qualche modo deve essere come una traccia che attraversa l’uomo e lo ferisce positivamente (positivamente non nel senso di contrario di negativo, ma nel senso dell’aumento della consapevolezza). Importante è che l’opera d’arte crei un sommovimento emozionale/intellettuale dentro l’uomo arricchendo il suo mondo interiore. A volte può avere addirittura la forza di dare risposte o far capire qualcosa.
Una volta, dopo aver osservato per lungo tempo un mio quadro, una donna mi disse: “Nei tuoi quadri rivedo le mie paure”. È capitato diverse volte che mi abbiano detto che i miei quadri sono inquietanti e lo dicevano quasi scusandosi. Ma io ringraziavo perché sono anche quelli i complimenti che voglio ricevere, forse quelli che preferisco.
L’artista è come un lucchetto tra la spiritualità-anima e l’artigiano, appeso a quello che succede nel mondo. Se manca l’anima, l’opera sta ferma lì, muta, diventa un oggetto con cui coprire un buco nella parete o sopra il quale tagliare le cipolle e, per carità, servono pure quelle cose. L’insieme di questi oggetti influenza l’intelligenza comune. Per me l’arte è una cosa serissima, non è un gioco o un divertimento.
In quanto artista ti senti una responsabilità nei confronti del mondo?
Molto. Più il tempo passa più mi sento responsabile. Sento che devo essere onesta nei confronti del mondo, nei confronti dell’arte, nei confronti di me stessa. La mia responsabilità è fare le cose che considero coerenti con la mia interiorità. Ascoltare più me stessa che gli altri. Cerco di superare la paura di andare in una direzione sconosciuta . Cerco di dimenticare completamente gli spettatori e o il pubblico che poi guarderà miei lavori. È questo tentativo di coerenza, onestà e indipendenza la mia responsabilità.
***
Mostre correlate
-
Agnese Skujina | La possibilità di un luogo