Numerozero

di Arianna Beretta

Circoloquadro inaugura il suo spazio con una mostra collettiva, Numerozero, il cui senso non va cercato in un tema comune o nell’uso di uno specifico media o, ancora, in una poetica condivisa dagli artisti. L’etimologia svela la direzione e l’obiettivo della mostra: collectivus, “che raccoglie insieme”.

Numerozero (r)accoglie artisti che condividono l’idea forte che sta alla base del progetto Circoloquadro e la sostengono con la loro presenza e, soprattutto, il loro lavoro. Rendere uno spazio vivo e vivace, luogo di incontro, e di scontro quando necessario, di discussione e di confronto sul contemporaneo è oggi assai arduo. È una sfida che gli artisti coinvolti hanno accettato. E si faccia attenzione all’uso del termine “contemporaneo”: non si parla qui di teorie e manifesti sull’arte, che lasciano sempre un senso di vacuità, ma di uno scambio teso a definire la funzione dell’arte, che dovrebbe essere quella di raccontare e interpretare il quotidiano, il contingente, l’hic et nunc dell’uomo.

Se guardiamo con attenzione, al di là della la forma e dei linguaggi, vediamo il senso dei lavori proposti concentrarsi proprio su questo tema: l’Uomo. Emergono, a volte con delicatezza, altre volte con durezza, i problemi, le incomprensioni, gli ostacoli e i dolori che l’uomo quotidianamente si trova ad affrontare. È la presa di coscienza di una condizione esistenziale e una sua conseguente lettura e interpretazione. Non esistono risposte e soluzioni, ma constatazioni e riflessioni personali che non pretendono di avere un carattere universale.

Le Helmet girls di Camilla d’Errico, giovane artista italo – canadese, che rientra ormai a pieno titolo nel Pop surrealismo, con i loro grandi occhi innocenti, i loro intrecci con le macchine e la loro stretta vicinanza ad animali/simboli, raccontano in realtà la tensione, il dramma, le emozioni, i trionfi e le sconfitte proprie di ogni giovane donna che si avvia verso l’età adulta. Camilla, che possiede un gusto per il colore estremamente raffinato, utilizza qui un elegante segno nero, analitico nella descrizione delle forme e dei sentimenti.

Machineries of dream, il lavoro di Daniele Serra, superbo illustratore i cui lavori sono stati pubblicati in Europa, Australia e Stati Uniti, ricorda che ognuno di noi ha i suoi demoni, che si manifestano nelle sue opere sotto forma di figure mostruose o di creature a metà strada tra l’uomo e la macchina, e il riferimento a Tsukamoto è ben evidente. Si percepisce chiaramente in questa serie una presa di coscienza di questa verità, che forse molti ignorano o fingono di ignorare per paura. I suoi paesaggi e le sue figure sono una epifania della condizione umana. E questo enigma si manifesta anche nelle “macchine” che nascono e si insinuano nelle pieghe delle terra e che vivono di vita propria. È una specie di mistero, quasi religioso.

Fabrizio Segaricci indaga alla ricerca dell’Uomo. L’artista umbro ha il dono di far parlare di sé uomini e donne che incontra quotidianamente e che si abbandonano a lui nel racconto della propria vita. Dopo l’ascolto, Fabrizio chiede di poter scattare una fotografia: è qui, nelle pose del tutto naturali e nella fiducia che questi uomini mostrano nei confronti dell’artista, che si svela la verità di ognuno. Non abbiamo bisogno di conoscere la storia particolare, perché gli uomini e le donne ritratte ci restituiscono la loro verità. È una galleria dell’Umanità che abita e vive le nostre città e i nostri paesi. La capacità di Segaricci di riportare il vero, senza falsi moralismi, è esaltata nella serie dei disegni Heritage, dove il segno grafico ci restituisce, dal passato, la Storia.

Gli Ex voto di Giulia Berra, giovanissima artista cremonese, rappresentano una preghiera di ringraziamento (o di auspicio) per la mutazione psicofisica dell’uomo. I ricami, che richiamano gli ideogrammi giapponesi e che rimandano ad un linguaggio criptico, privato e universale, raffigurano delle exuviae di cicala: sono i resti che testimoniano del cambiamento e della trasformazione ormai avvenuta. La serie DIA mette invece in relazione il battito delle ali di insetto con lo scatto della macchina fotografica, ponendo lo spettatore davanti ad una fragilissima membrana dotata della stessa effimera capacità evocativa dell’immagine. Si tratta di una sorta di carpe diem raggelato, che per l’artista rappresenta la tendenza a fissare/documentare attimi che non vogliamo cogliere e ricordare nella loro pienezza.

L’uomo è dichiaratamente al centro di tutti i lavori di Massimo Dalla Pola, pur senza comparire mai: è il convitato di pietra, una presenza pesante e invisibile. L’artista rileva e mette scena la relazione che l’uomo ha con l’esistente, con cui nel corso della storia è stato obbligato a confrontarsi, a relazionarsi e a interagire, e con le opere da lui stesso create. È evidente nella serie di fotografie qui esposte, No face houses: le case rappresentate sono il paradigma della casa ideale, con i loro tetti a spiovente e le forme regolari. Ma l’assenza delle finestre sposta violentemente il significato, generando un senso di malessere in chi osserva, e dichiara l’impossibilità di comunicazione tra gli uomini.

Quadreria Romatico Seriale è un progetto artistico nato nel 2002. Una dichiarazione chiarisce fin da subito gli intenti del lavoro: “Le estetiche esistenziali: questo è ciò che più ci attrae. Le azioni pure, disinteressate, e “nonostante tutto”. Il coraggio. Per questo motivo la modernità ci attrae come un mal di stomaco.” Il contemporaneo viene dunque osservato e restituito, senza abbellimenti di alcun genere, attraverso una “quadreria costruita su frammenti di Storia e corpi gettati in un presente decomposto, dove al Sacro non si dà possibilità d’essere.”

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